Lettura critica della commedia “la serva astuta” di autore ignoto, rappresentata a jesi nel carnevale del 1773
LETTURA CRITICA DELLA COMMEDIA “LA SERVA ASTUTA” DI AUTORE
IGNOTO, RAPPRESENTATA A JESI NEL CARNEVALE DEL 1773
Il libretto non reca alcuna indicazione circa il suo autore, che rimane dunque ignoto. La musica di questo “dramma giocoso”, il cui libretto fu stampato a Jesi nella Stamperia Bonelli, fu composta dal “celebre sig. Alessandro Felici Maestro di Cappella Fiorentino, diretta dal sig. Pietro Morandi Bolognese Accad. Filarmonico” e “Maestro di Cappella in Pergola”. Prendiamo in esame innanzi tutto la personalità del musicista. Alessandro Felici era figlio di Bartolomeo, maestro di cappella e organista di S.Marco in Firenze, particolarmente apprezzato come insegnante di organo e di composizione, tanto che fondò a Firenze una scuola musicale molto frequentata. Qui insegnò,dal 1767, anche suo figlio Alessandro, nato a Firenze nel 1742, come clavicembalista e organista: questi, dopo aver seguito l'insegnamento paterno, fu allievo di G.Castrucci e di G. Manna a Napoli. Pur essendo molto noto ai suoi tempi come operista, ci sono pervenute di lui poche opere: la partitura dell’”Amor soldato”, un concerto per clavicembalo e orchestra, poche musiche sacre e profane. Il compositore morì di tisi nel 1772. Erano state rappresentate, di lui, due opere nel 1768: “La serva astuta” a Firenze, “L’amante contrastata” a Venezia (cfr. M. Fabbri “Felici Alessandro”, in Enciclopedia della Musica, II, p. 448, e “Alessandro Felici il terzo maestro di Luigi Cherubini” in “Musiche italiane rare e vive da G. Gabrielli a G. Verdi”, Siena 1962). Ai fini di un primo inquadramento culturale del nostro “dramma giocoso” ci sembra degno di nota che la musica sia stata composta da un maestro fiorentino formatosi in ambiente napoletano, quell’ambiente che, come aveva già sottolineato il Della Corte (Andrea Della Corte,”L’Opera comica italiana nel ‘700”, cit., I, p.27 e sgg.) prima dei recenti,approfonditi contributi critici di Degrada, De Simone, Greco, tanto influsso esercitò sullo sviluppo dell'“opera comica” italiana del '700. Il titolo stesso dell'opera, del resto, richiama tutta una serie di titoli analoghi, così numerosi nella produzione teatrale di questo secolo, tanto che si potrebbe dire che una delle protagoniste in assoluto della “commedia” del Settecento sia, appunto, la “serva”. Nella sua opera su “La Scuola Musicale di Napoli e i suoi conservatori” (Napoli, 1881-1883, ristampa anastatica ed. Forni, Bologna 1969, voll. 4) Francesco Fiorirne nomina le seguenti commedie, che, già per il titolo, si apparentano al nostro “dramma giocoso”:”La Serva bacchettona” di Antonio Palomma, rappresentata al Teatro Fiorentino di Napoli nel 1749; “La Serva fatta padrona”, commedia di Pasquale Mililotti,messa in scena nello stesso Teatro nel 1768 con musica di Paisiello; “La Serva innamorata”, commedia di Giuseppe Palomba, rappresentata nel 1790 sotto la direzione di Pietro Guglielmi; “La Serva onorata”, dramma di anonimo messo in scena nel 1792 sotto la direzione del maestro Piccinni; “La Serva bizzarra”,commedia di Giuseppe Palomba rappresentata nel 1805 sotto la direzione di Pietro .Guglielmi. E ancora: lo stesso Florido (op.cit.II,p.344) ricorda che il musicista Tommaso Traetta scrisse a Napoli,nel 1756,la musica per una “Fante furba” (cfr. a questo proposito Enciclopedia Italiana ,VI, p. 214,in cui il libretto de “La Fante furba” è attribuito ad Antonio Palomba) e,in seguito,l'opera buffa “Le Serve rivali” (cfr. DELLA CORTE,cit. I, p. 263,in cui è attribuita al Traetta la “burletta” “La Serva rivale”);il musicista Giuseppe Scarlatti rappresentò nel 1749 “La Serva scaltra”(cfr. DELLA CORTE, cit. I p. I38 n. I); Gioacchino Cocchi, nel 1753 a Parigi, il “dramma giocoso” “La Scaltra governatrice” (DELLA CORTE, cit.; p. 137). Già nel 1752,del resto, Goldoni aveva scritto “La Serva amorosa”. Un intermezzo di Adolf Hasse alla sua prima opera napoletana del 1723 si intitolava, poi, “La serva scaltra ovvero la moglie a forza” (cfr. A. Della Corte-G. Pannain,”Storia della Musica”, U.T.E.T., I952, II, p. 862 e DELLA CORTE, cit. I p. 39 in cui si dice che un intermezzo intitolato “La serva astuta” venne messo in scena, a Bologna, nel 1728, al Teatro Marsigli Rossi). Nel Teatro della Valle di Roma andò in scena, nel 1753, un intermezzo di Rinaldo da Capua intitolato “La Serva sposa” (DELLA CORTE,cit., I, p. 85). Nel 1773 nello stesso anno in cui a Jesi veniva rappresentata “La Serva astuta”, andava in scena al San Samuele di Venezia “ La serva per amore” di Baldassare Galuppi, compositore con il quale si trovò spesso a collaborare, come librettista, il Goldoni (cfr. DELLA CORTE, cit. I, p. I68) né mancano curiose figure di servette astute e intriganti in altre opere del Galuppi. Poetica sintesi di questa folla di serve astute e maliziose, furbe e amorose, è Serpina, protagonista dell'intermezzo “La serva padrona”, il cui libretto, scritto da Gennarantonio Federico,sarà musicato da Giambattista Pergolesi: e sarà quella deliziosa operina, “modello di canto,di unità, di melodia, di dialogo, di gusto” come Rosseau la definirà (cfr. autori vari, “Pergolesi”, cit. p. 57), in cui il “tipo” della servetta furba e tiranna, femminilmente patetica e seducente nella sua deliziosa grazia assurgerà, per merito della musica pergolesiana, a esemplare umano e poetico di universale valore. E' in questo genere di produzione “comica”, caratterizzata dalla presenza sulla scena di tipi piuttosto stilizzati, in questo mondo di “opere buffe” e “intermezzi” che, come nota il D’Amico (SILVIO D’AMICO, “Storia del teatro drammatico”, Garzanti, Milano, I970, l, p. 280 ), “rappresentarono la naturalezza, la 'verità’ contro la retorica dell'opera seria”, che dobbiamo inserire il “dramma giocoso in musica” rappresentato a Jesi nel Teatro del Leone “il Carnovale dell'anno. 1773”. Ricordiamo ora brevemente la trama della “Serva astuta”. Nel primo atto il vecchio Geronio, invaghito della sua bella serva Fiammetta, la corteggia in modo ridicolo, volendo sposarla. Fiammetta eccita con le sue astute moine l'amore del vecchio, trovando una decisa opposizione ai suoi piani nei figli di Geronio, Lucindo, e Dorina,nonché nella moglie di Lucindo, Clarice, saggia e assennata. Intervengono a questo punto nell'azione Monsieur Bigiò,sarto francese, il cui linguaggio viene spesso frainteso da Geronio,che cade in curiosi equivoci, e il notaio Ser Imbroglio, nel cui parlare ricorrono invece citazioni dotte ed erudite in latino. Monsieur Bigio viene incaricato da Geronio di preparare l'abito da sposa per Fiammetta, l'altro di redigere il contratto di nozze. Fiammetta, intanto, si atteggia sempre più a “padrona”, rifiutandosi addirittura di servire la cioccolata a una vecchia zia venuta a far visita; al tempo stesso, ella non disdegna la corte di Monsieur Bigio, mentre da parte sua Ser Imbroglio si accorda con Lucindo, dietro promessa di questi di ricevere cinquanta “doppie”, per fare in modo che il matrimonio tra Geronio e Fiammetta non abbia luogo. Lucindo e Ser Imbroglio fingono di azzuffarsi, e Clarice, accorsa ad annunciare l'evento, addossa la responsabilità della lite a Fiammetta, la quale si abbandona al pianto ,mentre il vecchio Geronio corre a trattenere i contendenti. Appena egli è uscito di scena, appaiono Ser Imbroglio e Monsieur Bigio “in bautta” e spiegano che la lite è stata un'invenzione per far sì che Geronio se ne andasse. Ecco però sopraggiungere di nuovo il vecchio, e alla sua vista il sarto francese estrae una pistola, il notaio uno stiletto: terrorizzato, Geronio fugge, ma ricompare subito dopo armato di “schioppo”:viene però disarmato e ridotto all’impotenza. Nel secondo atto Geronio, sordo ai consigli di Lucindo e Clarice, si ostina a voler sposare Fiammetta. Inutilmente anche Dorina cerca di indurre il padre alla ragione riferendogli che la serva sta amoreggiando con due signori in sala. A questo punto Dorina dichiara al fratello che, se il padre sposerà Fiammetta, anche lei vorrà andare sposa: pensi il fratello a trovarle un marito! Lucindo ci pensa un po', ed ecco trovato il partito adatto: Ser Imbroglio. “E’ brutto, ma tant'è, lo piglierò”, risponde Dorina non del tutto scontenta. Clarice e Lucindo si accordano allora affinché il notaio, “con un oscuro latinismo”, faccia comparire nel contratto di nozze, al posto dei nomi di Geranio e Fiammetta, il proprio e quello di Corina. Fiammetta, intanto, svela chiaramente che è mossa dal solo interesse, e, non appena il contratto di nozze è stato firmato, ella subito desta l'ira di Geronio facendosi in sua presenza. abbracciare da Ser Imbroglio. Per burla, poi, di fronte alla collera del vecchio, Fiammetta finge più volte di svenire, e Geronio corre qua e là portando alla “povera Fiaminettina” “acqua della regina / melissa ,ed elisir”. Il finale del secondo atto vede Geronio consolato ironicamente da tutti gli altri personaggi,e tormentato dalla gelosia. Nel terzo atto Fiammetta,credendosi ormai divenuta padrona di casa per effetto del contratto di nozze, si comporta con la massima indifferenza nei confronti del marito, pretendendo di andare a teatro accompagnata da Ser Imbroglio e Monsieur Bigio. Alle recriminazioni di Geronio risponde beffardamente, sì che il vecchio incomincia a capire quale errore ha compiuto,e se ne duole amaramente:”Al diavolo / La manderei, pure io potessi farlo, / Ma la scritta è già fatta”. Clarice e Lucindo gli svelano allora la verità:nel contratto di nozze è stato scritto, in realtà, il nome di Ser Imbroglio al posto di quello di Geronio, e quello di Dorina invece di Fiammetta. A questa rivelazione il vecchio si riconforta. Fiammetta, intanto, di ritorno dal teatro, vorrebbe rincasare, ma ha trovato il portone di casa energicamente sbarrato; Geronio, alla finestra, si fa beffe di lei, poi spranga l'imposta. La serva non si da per vinta: vorrebbe entrare dalla porta del giardino, ma, a questo punto, Monsieur Bigio si incarica di svelarle la verità; per confortare Fiammetta della delusione, il sarto parigino si offre come suo sposo. Fiammetta lo accetta di buon grado. Il finale della commedia vede tutti i personaggi finalmente d'accordo,in attesa della ricca cena a cui Clarice li ha invitati :”Torni il seren di pace / A rallegrarci il cor ;/ E accenda la sua face / Lieto ,e giocondo amor”.
Negli intervalli fra il primo e il secondo, il secondo e il terzo atto il libretto prevede la messa in scena di balletti, ai quali si accenna anche nell'introduzione e dedica a Monsignor Camillo dei Marchesi di Costanze, “Governatore vigilantissimo” di Jesi: ”Sarà altresì l'azione piacevolmente interrotta, e variata dai Balli, che avendo connessione, ed analogia con la Musica somministreranno i loro vezzi ,e le loro grazie particolari”. Il primo ballo rappresentava un “Accampamento di Turchi facendo l'assedio di Bucharest in Valachia”,il secondo uno “Sbarco d'Inglesi”. Prima di analizzare brevemente i caratteri dei vari personaggi, ci sembra interessante soffermarci su una dichiarazione, evidentemente critica nei confronti di una certa moda del tempo, che considerava il teatro come pura evasione e occasione di superficiale diletto. Dicono dunque gli “impresari”, atteggiandosi a censori della “commedia di carattere” moraleggiante e noiosa: “Non verrà la seccagginosa Commedia di carattere a provocare lo sbadiglio negl'infastiditi Palchetti,e a conciliare la sonnolenza nella Platea,che vuoi sempre ridere, o dare grato pascolo ai sensi,perché non imparò mai a riflettere ,o non le par quello tempo e luogo di farlo. Se vi ha qualche genio ipocondriaco che pruovi del solletico nella dipintura non che degli altrui, ma de’ propri difetti eziandio, può questi con un libro in mano, e senza spesa aver di continuo il teatro aperto nel suo gabinetto”. Parole che la dicono lunga, con quei garbati accenni, soffusi di un'ironia vagamente “pariniana”, alla mancanza di cultura dei nobili e del popolo, su certo spirito illuministico di cui anche il “dramma giocoso” si faceva espressione. Nettamente caratterizzati i personaggi, con un'accentuazione di tono farsesco, a cominciare da Geronio, vecchio reso farneticante dall'amore -”Meravigliatevi / Quanto vi pare / Guardami ,e brontola / Quanto tu vuoi; /Questo capriccio” Mi vuo cavare, / E la mia serva / Voglio sposar / Ell'è un grand'utile / Per la mia Casa : / Tutto raccomoda; / Tutto dispone; / Dipana,e spolvera, / Cucina.etcetera. / In conclusione / Tutto sa far. / Sì la mia Serva / Voglio sposar'“ (Scena I, Atto I)- geloso al punto da irrompere sulla scena armato di “schioppo”,quando Fiammetta si lascia corteggiare in sua presenza da altri, umanizzato dalla sua stessa sofferenza d'amore -”Che rabbia, che tormento / Dentro del petto io sento, / Che delirar mi fa” (Scena XI,Atto I)- patetico e comico nel suo vagheggiare l'amata Fiammetta, subito disposto a perdonarle i suoi sbalzi d'umore -”Ah non temer ben mio / Tu la mia sposa sei: / Per te Fiammetta, oh Dio! / Per te, che non farei? / Senti.ma no.carina, / Amor te lo dirà. / Ma ohimè, che vampa è questa!. / Mi gira già il cervello./ Amor m'ha dato in testa. / Somiglio un molinello… / Già delirar mi fa” (Scena IX,Atto TI)- grottesco nel suo compiacimento amoroso -”Or che sei a me vicina, / Vezzosetta mia sposina / Dalla gioia, dal contento, / Io mi sento giubbilar” (Scena XII,Atto lì)- puerilmente rabbioso,infine, e deciso a congedare la serva infedele dopo che gli è stato svelato il suo tradimento :”Oh cagna rinegata! / . / Non ti vuò, ti ricuso, ti rifiuto, / Ti licenzio, ti nego e ti do l'ambio” (Scena ultima,Atto III). In Geronio si assommano dunque gli elementi classici,in chiave farsesca, del tipo del vecchio avaro, ingenuamente innamorato di una ragazza, e perciò oggetto di riso e di beffa. Vivacemente caratterizzati appaiono anche Monsieur Bigio,sarto francese, e il notaio Ser Imbroglio, il cui nome è già di per sé tutto un programma: il primo, con i suoi vezzi e moine, con il suo parlar francese che provoca gustosi equivoci in quanto Geronio fraintende le sue parole -”M.B. Oui, Monsieur. /Mi porterò chez vous dans un moment / Avec de belle etoffe di Paris, / Et des jolis rubans. / Ger. Rubare? o questo no. / Canchero! Gli altri sarti / Lo fanno e non lo dicono. / M.B. Je ne dich pas cela. Ger. Ma ruba.” (Scena VI,Atto I),con il suo atteggiarsi a mellifluo cicisbeo nei confronti di Fiammetta è una gustosa caricatura della moda francesizzante allora così diffusa. Ser Imbroglio,con il suo linguaggio denso di citazioni latine,di motti usati a proposito e a sproposito -”Oh creda, / Signor Geronio mio, che in corruptione / Ha dato tutto il mondo. Un capo vuoto / Voleva sostenermi / Che l'Aratolo, i Bovi,e i Rusticani / Vengon sotto ipoteca, / Quando costantemente / Lo nega, il gran Merlino de pignoribus” (Scena VII,Atto I), con la sua scienza messa a servizio di chi meglio lo paga è una specie di Azzecca-garbugli in tono minore, se non fosse che, alla fine, è per merito suo che Geronio riesce a liberarsi della furba Fiammetta. La scena in cui i due compari raggiungono l'apice della loro comicità è quella in cui si prendono gioco di Geronio innamorato ,facendogli il verso con interiezioni canterellate e doppi sensi molto significativi: ”M.B. une femme gentile esposerete. / Imb. Una donna amorosa, / Piena di carità verso la gente ./ M.B. Femme,che vi farà beaucoup d'amis / Beaucoup d'amis ,mon bon monsieur ouì ./ Imb. Femmina, che in substantia Farà venire in casa l'abundantia. Ger. Oh cara! dite, e ch'altro mi farà?/ M.B. La ra la ra la ra./ Ger.Che mai vuoi dir,monsù?/ M.B. Zu ru zu ru zu ru” (Scena VIII, Atto II).
Volubile e civettuola, imperiosa e, all’occorrenza, patetica, furba finché non incontra persone più astute di lei, Fiammetta èsenza dubbio una “serva” con tutte le caratteristiche del suo “tipo”: decisa a farsi sposare da Geronio per diventare la padrona di casa -”La mia mamma mi diceva, / Se tu trovi un buon partito, / Figlia mia, prendi marito, / Che godrai la libertà ,/ Questo vecchietto / Voglio sposare, / Voglio provare, / S'ella m'ha detto / La verità” ( Scena IX,Atto I) - ella non si cura affatto dell'opposizione che incontra ad opera dei saggi Lucindo e Clarice, nonché in Dorina, figlia dì Geronio; anzi,si rifiuta addirittura di obbedire a Clarice,quando questa le ordina di andare a ricevere una vecchia zia, da lei invitata:”Svitatela, / E per la stessa strada rimandatela” (Scena IX, Atto I),mettendosi poi a sermoneggiare comicamente sulla necessità di fare economie in casa. Al tempo stesso, Fiammetta amoreggia spudoratamente, sotto gli occhi di Geronio, con il sarto parigino, ma, quando le cose sembrano mettersi male per lei dapprima scoppia in pianto dirotto - ”Io povera meschina / Che colpa ho in questo affari” (Scena XI,Atto I), poi, con patetica grazia, esclama: “Fermate ./ Tutti m'abbandonate, / Misera! che farò!” (ibid). Riuscita però a farsi sposare - così, almeno, ella crede- subito diventa tiranna, giungendo al punto di prendersi apertamente gioco del povero Geronio: “Fia. Non mi state a seguitare. Ger. Vuò saper dove tu vai. Fia. Voglio andar dove mi pare, Ger. E che no, che non andrai. Fia. E che sì, che ci anderò. Ger. Fiammetta giudizio. Fia. Geronio prudenza.” (Scena I,Atto III). Ci par tuttavia degno di nota che, attraverso questo personaggio pur così fortemente tipizzato, venga espressa talora una forma di satira sociale che da alla figura di Fiammetta un suo particolare significato. Così, nel I Atto, il rimprovero che la “serva” muove alle sue padroncine, che se ne stanno tutto il giorno senza far niente, assume un significato che trascende quello, occasionale,della situazione comica:”Sentite voi, che bell'insegnamento? / Oh che vaghe figure da marito! / Oh che Spose di garbo! / Ad altro non si pensa che a dormire, Ed a spender del dì tutto il restante / Allo specchio,e al balcone ,/ Per salutar con smorfie ogni moscone. / Oh eh? che bella vita! E voi,Signora / Mangiar forse volete / il pane a tradimento? / Affé non me la sento; / Qui non si fa la Dama; / Si spazza, si fa il pane, e si ricama” (Scena III,Atto I). Così, nel II Atto,davanti alle profferte amorose di Monsieur Bigio e di Imbroglio, che si atteggiano a suoi cavalier serventi e cicisbei, Fiammetta se ne esce fuori con battute così scherzosamente pungenti che è evidente la volontà dell'autore di colpire la moda del cicisbeismo: Fiammetta dichiara di accettare il cicisbeo e il cavaliere ai suoi ordini, purché essi si impegnino a servirla per “almeno” cinquant'anni; in secondo luogo, il notaio dovrà accompagnarla a feste e commedie tenendole il candeliere quando lei leggerà, nonché la sottocoppa del sorbetto e un fazzoletto; il sarto dovrà invece prestarle fedele assistenza “al Tuelett”. Serpeggia, del resto, in questo “dramma giocoso”, al di là delle sue note farsesche, un tono lievemente irridente, quasi che l’autore amasse scherzare su di sé. Uscendo dal teatro,dove hanno assistito ad una commedia, Fiammetta, Monsieur Bigio e Ser Imbroglio così commentano :”Fia. Che cattiva Commedia / M'è venuta l’inedia, un gran tormento / Era per me lo starvi altro momento. - Imb. Plautino sal non v'è, né Terenziano.- M.B. Non vi giocano bien les personages”.(Scena V,Atto IIX): davanti a queste critiche ci viene il dubbio che l'autore, in realtà, abbia voluto scherzosamente prevenire e anticipare certe osservazioni che, sul modello di quelle correnti, egli immaginava potessero essere mosse al suo “dramma giocoso”: privo di “sali” plautini, e terenziani. La Serva astuta con il suo impasto di temi della commedia dell’arte e di più fini spunti, assimilabili alla cultura illuministica, con l'intreccio farsesco non privo di personaggi meglio caratterizzati, con la sua fusione di poesia e musica e la presenza dei balli che contribuivano ad infondere una nota fiabesca ed esotica, costituisce un tipico esempio di rappresentazione teatrale del la seconda metà del Settecento: ed è anche indicativo di un gusto, di una “cultura” che dovevano essere diffusi nella nostra città, dove venne messo in scena cinque anni dopo essere stato rappresentato a Firenze. Antonio Ramini
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