L’immagine della parabola porta alle esperienze del contadino della galilea

IL SEMINATORE
Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: "Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un'altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno". E diceva: "Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!". (Mc 4, 1-9) L’immagine della parabola porta alle esperienze del contadino della Galilea. Viene rilevato tuttavia soltanto un aspetto della sua attività, quello di seminare. Perciò nell’introduzione non si parla di un contadino, ma di un seminatore. Il raccolto appare solo alla fine. Di esso non si dice nulla di più. L’immagine presentata è stata ritenuta irreale o non abituale soprattutto per l’esagerata perdita di seme. Le difficoltà vengono un po’ contenute se si tiene presente che la triplice dettagliata descrizione della perdita (che, malgrado la triplice corrispondente seminagione fruttuosa, occupa gran parte del racconto) non significa che tre quarti del campo rimangano improduttivi. La quantità di seme caduta nel terreno cattivo è espressa al singolare: una parte, un’altra parte. Diversamente, per indicare la quantità di seme caduta nel terreno buono, viene usato il plurale: altre parti. È vero che per tre volte il seme va sprecato, ma è ugualmente vero che la quantità non sprecata è molto grande. Chi ha studiato i processi di seminagione nell’Israele di quell’epoca sa che non si arava prima della seminagione, ma dopo. Il fatto quindi che una parte del seme sparso cada sulla strada che gli abitanti del villaggio hanno fatto sul campo dopo l’ultimo raccolto o che segna il confine, non corrisponde a un intento contraddittorio, ma ad un’abitudine ovvia. Così un’altra parte cade sul terreno sassoso: esso non di rado in Galilea si nasconde sotto un sottile strato di terreno coltivabile. E un’altra parte ancora cade tra le spine che si erano concentrate in un dato punto e non si vedevano o che erano cresciute qua e là durante l’estate. Il raccolto che si ottiene sulla terra buona viene descritto in modo conciso, per gradi. Se si osserva che i dati vanno riferiti al singolo chicco e non a tutto il raccolto del campo seminato, essi rimangono nell’ambito del reale e del possibile. Mediamente una spiga aveva trentacinque grani, ma se ne potevano contare anche cento. La parabola, dunque, si fonda sull’esperienza reale del contadino palestinese, che, nonostante la perdita relativamente grande di seme, ottiene un raccolto sorprendentemente buono. La forza di persuasione della parabola si fonda proprio sulla verosimiglianza del fatto narrato. La panoramica ispira fiducia. Non abbiamo davanti il campo ondeggiante di spighe, neppure un pezzo di terra particolarmente fertile, ma l’affermazione che, malgrado la perdita molteplice e quasi necessaria, si giunge a un prodotto abbondante. 1 Cf. J. GNILKA, Marco, Cittadella, Assisi 1987, 207-215; B. MAGGIONI, Le parabole evangeliche, Vita e pensiero, Milano 1992, 22-30; Ma qual è il messaggio della parabola? La sua immagine può essere immediata ed efficace, ma la sua interpretazione è assai controversa. La spiegazione aggiunta in seguito vuole essere un’esortazione all’ascolto e sposta l’accento sui destinatari della predicazione. Ma qual era il significato originario della parabola? Gli studiosi indicano tre piste. 1) La parabola, in origine, aveva un significato escatologico. Il racconto rientrerebbe, pertanto, nelle parabole del Regno e conterrebbe un messaggio di fiducia: malgrado ogni insuccesso ed ogni opposizione, Dio fa sì che, da inizi privi di speranza, nasca quella fine gloriosa che lui ha promesso. 2) La parabola, in origine, aveva un significato cristologico. Al centro del racconto vi sarebbe il seminatore e il differente risultato della seminagione andrebbe interpretato come il suo destino personale. In tal caso, Gesù avrebbe manifestato la sua fiducia nell’effetto della sua predicazione, nonostante i numerosi insuccessi. 3) La parabola, in origine, aveva un significato storico-salvifico. La non ricettività del terreno, che costituisce il fattore primario del fallimento, simboleggerebbe l’indurimento di Israele nei confronti della parola di Dio. Chi, invece, ascolta veramente, porta frutto. Maggioni ritiene che questi tre significati non siano tra loro inconciliabili. Egli nota, prima di tutto, che al centro della parabola c’è il seme. Il seminatore compare all’inizio, ma poi non se ne parla più. Non si dice nulla della sua fatica, delle sue speranze, delle sue delusioni, della sua gioia per il raccolto abbondante. Tutti i verbi hanno per soggetto il seme. L’attenzione deve, perciò, concentrarsi sul seme: non sulle sue qualità, di cui non viene detto nulla, ma sulla sua sorte. Tuttavia, per Maggioni, sarebbe fuorviante concentrarsi esclusivamente sul seme. La figura del seminatore svolge una funzione assolutamente necessaria nella narrazione, in quanto le conferisce unitarietà. Fuori metafora, le quattro vicende del seme rappresentano gli esiti dell’unica seminagione fatta da Gesù. La parabola racconta la storia del suo ministero. È una parabola cristologica, anche se la comunità dei discepoli vi leggerà successivamente la propria storia. Va notato, da questo punto di vista, che, più che di uno spostamento di interpretazione, la comunità ha operato una obiettiva sovrapposizione di due situazioni: nell’esperienza del fallimento che ha caratterizzato Gesù, la comunità ha visto rispecchiata l’esperienza del proprio fallimento. Nel passaggio da Gesù alla Chiesa, pertanto, non muta la parabola, ma si ripete la stessa domanda: perché la parola di Dio, prima annunciata da Gesù e ora dalla comunità, appare spesso improduttiva? In questione non è la verità della Parola, ma la sua efficacia. La parabola dà questa risposta: è vero che ci sono gli insuccessi, ma è certo – ed è sempre certo – che una parte del seme porta frutto già ora. La parabola è un invito alla fiducia, fin dal presente. Ma la parabola vuole rispondere anche ad un’altra domanda: perché mai la semina di Dio dovrebbe assomigliare a quella di un contadino? Perché tanto spreco? La ragione di ciò è data dal fatto che, all’origine dell’agire di Dio, c’è una sovrabbondanza di amore che sembra spreco e noncuranza e che solo la croce di Gesù riesce a svelare nel suo vero senso: non sperpero o debolezza, ma gratuità e luminosa rivelazione del volto di Dio.

Source: http://www.upcm.it/caritas/formazione_2010-2011/1_il_seminatore.pdf

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